Le nuove imprese sociali al centro di Horizon Europe.
L’equazione “più ricerca e più conoscenza uguale più sviluppo e più crescita” è vera, ma non per tutti. Interi territori e settori della società sembrano infatti esclusi dalle promesse dell’economia della conoscenza, modello ispiratore delle politiche di innovazione finora più avanzate. Il risultato perverso è che “enormi porzioni di società si sentono estromesse dai benefici della scienza e della ricerca, che pur contribuiscono a finanziare”. Da qui parte la riflessione di Mario Calderini, Professore Ordinario presso la School of Management del Politecnico di Milano e direttore Centro di Ricerca Tiresia, che, in questa intervista, ci guida alla scoperta di una emergente generazione di imprenditori sociali candidati a diventare protagonisti della nuova politica industriale europea. “Sono loro – afferma – gli interlocutori privilegiati del nuovo Programma Quadro di Ricerca ed Innovazione. Perché sono loro, attraverso le reti che creano, i soggetti in grado di redistribuire il valore della conoscenza laddove l’industria non è più in grado di farlo”.
Partiamo da quello che sembra essere un acquis: il Programma Quadro ha il dovere di potenziare la “responsabilità” della ricerca.
Horizon Europe dovrà porre grande attenzione agli effetti-cascata che possono derivare dalle azioni finanziate e alla rendicontabilità sociale della ricerca, per assicurare che il valore dell’investimento sia compreso da tutti i segmenti della società. Per fare questo, io credo che dovrà trovare il modo di includere le grandi reti sociali e usare queste reti per redistribuire il valore della ricerca su più ampie porzioni di territori e società. Questa è la grande sfida: ricostruire le profonde lacerazioni sociali che trovano in crescenti atteggiamenti di anti-intellettualismo e anti- scientificismo la loro onda lunga. In posti e settori dove c’è ancora industria intensiva di tecnologia e conoscenza, il lavoro di rendicontabilità e restituzione di valore continua a farlo l’industria attraverso nuovi prodotti, salari e posti di lavoro. Ma la grande domanda è: in quei posti o settori in cui l’industria non c’è più anche a causa dell’economia della conoscenza – un esempio su tutti, il Mezzogiorno d’Italia – chi restituisce ai cittadini il valore della conoscenza che essi stessi hanno contribuito a finanziare? Il trasferimento della conoscenza in territori e settori dove non esiste più mediazione industriale è una questione chiave per Horizon Europe.
Horizon Europe fa i conti con due fenomeni emergenti: da un lato le polarizzazioni di conoscenza e ricchezza, determinate dalla stessa economia della conoscenza su cui i Programmi Quadro hanno finora investito, dall’altro lo smantellamento in atto di alcuni settori e poli industriali.
Esattamente. A questo però si aggiunge un terzo fenomeno, collegato a quanto finora descritto e che può essere parte della soluzione: una nuova generazione di imprese sociali sta emergendo, causa-effetto di un mercato in forte crescita. Caratterizzati da ibridità, managerialità e utilizzo intensivo di tecnologia, questi nuovi soggetti economici sono figli del paradigma dell’innovazione sociale e generatori di soluzioni ad alto impatto nelle società di riferimento. Nei fatti stanno disegnando una transizione epocale che li vedrà auspicabilmente protagonisti delle nuove politiche industriali e di innovazione.
Un cambiamento non da poco per il policy maker: l’ingresso delle imprese sociali nelle politiche industriali e dell’innovazione…
A mio giudizio, l’ambito in cui collocare le nuove imprese sociali è proprio quello delle politiche industriali. Consideriamo infatti che esiste un mercato del welfare, importante in termini di volumi ma anche di potenziale innovativo perché in evoluzione verso un “welfare di precisione” sempre più personalizzato, parallelamente sta nascendo una generazione di imprese ibride che può sfruttare questo mercato e una finanza di impatto sociale si sta sviluppando rapidamente per intercettare la trasformazione. Mettendo insieme questi tre elementi, si delinea a tutti gli effetti una politica industriale.
Come possiamo descrivere l’assetto delle “nuove” imprese sociali’?
Credo che il concetto di imprenditorialità sociale e innovazione sociale siano fortemente legati e che in questo momento si stia sviluppando una forma importante di innovazione sociale proprio attraverso la nuova imprenditorialità di cui parliamo. Queste imprese sono infatti caratterizzate da: ibridità, cioè la capacità di perseguire intenzionalmente un impatto sociale e nel contempo essere economicamente sostenibili fino a poter generare delle forme di profitto per l’imprenditore; managerialità, ovvero l’elaborazione di strumenti mediati dalle pratiche manageriali più avanzate; uso intensivo di tecnologia.
In virtù dell’uso intensivo di tecnologia possiamo parlare di Tech Social Innovation?
Si, perché in questa “nuova” innovazione sociale, interpretata in forma di imprenditorialità, l’elemento dirompente è la tecnologia utilizzata per cambiare radicalmente i modi di affrontare, interpretare e risolvere problemi sociali emergenti. Ci riferiamo alle piattaforme digitali, ma non solo. Si pensi alle potenzialità della tecnologia Gis, fino alla sensoristica diffusa e al data analytics. Per fare un esempio pratico che spieghi la “portata” del cambiamento, consideriamo l’utilizzo dei big data correlati alla morosità nel pagamento delle bollette del gas o degli interessi bancari. Una lettura di questo tipo permette di intercettare le nuove povertà emergenti e quindi di poter formulare modelli di azione più efficaci e tempestivi, anticipando la fase di intervento. Il cerchio tra ibridità e intensità di tecnologia si chiude perché l’utilizzo appropriato di tecnologia porta alla scalabilità dell’intervento. Questo vuol dire che alcuni modelli di innovazione e imprenditorialità sociale, che vivono con margini di sostenibilità economica molto risicati, possono essere spinti su maggiori volumi di intervento, rendendo i margini di sostenibilità economica o addirittura di profittabilità più solidi. Prenderanno così forma esperienze di imprenditorialità sociale ibrida.
Chi sono i “nuovi” imprenditori sociali che Horizon Europe dovrà coinvolgere attivamente?
Sono tre gli ambiti da cui prende forma la nuova impresa sociale, pur con accelerazioni, caratteristiche e limiti propri di ognuno. Possiamo considerare: nuove imprese sociali “native”, che nascono già con i tratti di ibridità, managerialità e uso intensivo di tecnologia, c.d. “startup a vocazione sociale” e che, per inciso, sono secondo me le imprese del futuro; imprese sociali esistenti che evolvono partendo da modelli cooperativi tradizionali; soggetti del profit che si ibridano, ovvero imprese mainstream che spostano il baricentro del proprio operato verso l’impatto sociale. Questo quadro dovrà essere tenuto in debito conto dal policy maker europeo come da quello nazionale.
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