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Cinque anni di R&I in Europa – Parlano gli europarlamentari italiani

Gli ultimi due anni della legislatura europea che si è appena chiusa hanno segnato – sul piano della definizione delle priorità e del percorso legislativo – una fase di passaggio tra la programmazione pluriennale in corso (2014-2020) e la prossima (2021-2027); e – in tema R&I – tra il programma quadro attuale e il suo successore. L’analisi e la valutazione di Horizon 2020, la definizione di Horizon Europe e dei programmi futuri, la preparazione del prossimo bilancio UE: sono tra i dossier più importanti dell’ottava legislatura in materia di ricerca e innovazione. A meno di un mese dalle elezioni che rinnoveranno il Parlamento europeo, APRE ha chiesto agli eurodeputati italiani più attenti ai temi R&I di tracciare un bilancio di questi cinque anni, di riflettere sullo stato di salute del sistema italiano di R&I, di indicare prospettive e priorità per la prossima legislatura, che si aprirà ufficialmente a inizio luglio con la prima seduta plenaria del nuovo Parlamento.

Riaffermare la centralità degli investimenti europei in ricerca e innovazione e la necessità di un quadro coordinato di politiche UE a sostegno della R&I è la premessa di ogni ragionamento sul tema. «Personalmente ho sempre pensato che investire in R&I significhi investire in un futuro migliore: per l’Unione Europea non è un’opzione tra tante, ma un imperativo categorico», ci dice Aldo Patriciello, eurodeputato uscente di Forza Italia in Commissione ITRE e candidato nella circoscrizione Sud alle prossime elezioni. «Il ruolo accordato alla ricerca e all’innovazione – continua Patriciello – deve continuare a plasmare il futuro del nostro continente: le sfide da affrontare in un mondo sempre più globalizzato sono tante e gli investimenti in R&I sono la bussola per orientare la nostra azione politica». «Università, centri di ricerca, micro, piccole e medie imprese, enti della pubblica amministrazione possono sviluppare le proprie potenzialità e contribuire al benessere dei cittadini solo se adeguatamente supportate da investimenti ad-hoc», concorda Rosa D’Amato, coordinatrice del gruppo EFDD in Commissione Affari Regionali e candidata nella circoscrizione Sud per il Movimento 5 Stelle, «il quadro normativo europeo deve essere tale da favorire e agevolare tali realtà, anziché tarpare loro le ali con oneri amministrativi e burocratici».  

Horizon 2020 – Il Parlamento europeo è sicuramente un osservatorio privilegiato per valutare l’andamento del programma quadro. A partire dal ruolo che possono svolgere gli stessi eurodeputati per supportare la partecipazione italiana al programma. «In questa legislatura ho collaborato costantemente con gli attori italiani della ricerca e innovazione per promuoverne la visibilità a livello europeo e la partecipazione ai programmi di finanziamento dell’UE», sottolinea Patrizia Toia, capo-delegazione uscente del Partito Democratico e candidata nella circoscrizione Nord-Ovest per la lista PD – Siamo Europei. A poco più di un anno dalla chiusura, la valutazione su Horizon 2020 non può che essere nel complesso positiva «Il programma attuale – dice D’Amato, che ha svolto il ruolo di relatrice ombra sul dossier Horizon Europe – è stato senz’altro utile per sostenere e incentivare le eccellenze scientifiche, la competitività industriale e fornire alcune risposte alle problematiche sociali. Certo, se guardiamo al tasso di successo dell’Italia, si può e si deve fare ancora di più».

La partecipazione italiana – Se il giudizio sul programma quadro è positivo, la riflessione sul livello di partecipazione (e di successo) degli operatori italiani e sulle azioni da intraprendere per migliorarlo è invece più articolata. «L’Italia ha un grande potenziale – afferma David Borrelli, europarlamentare uscente e ora candidato nella circoscrizione Nord-Est per la lista Più Europa – Italia in Comune – e lo dimostrano con chiarezza i dati sulla partecipazione allo Strumento PMI. Ma questi strumenti da soli non bastano: sono degli acceleratori, ma perché si possa accelerare un processo, bisogna prima averlo messo in moto. Questo compito tocca in primo luogo al Governo italiano: attraverso l’aumento della spesa nazionale in ricerca e sviluppo e rafforzando il sostegno alle imprese che intendono partecipare ai bandi europei». «Non mancano certo i ricercatori eccellenti – aggiunge Toia – a dispetto di una strutturale carenza del Sistema-Paese, che non dedica sufficiente attenzione e risorse alla ricerca. La percentuale di successo dell’Italia (al di sotto della media europea) è anche il risultato di una presenza e di una organizzazione ancora in corso di consolidamento a Bruxelles e di capacità di euro-progettazione da migliorare. La situazione è comunque in evoluzione e sono numerosi i soggetti, tra le quali molte università pubbliche, che stanno investendo in questo senso».

Verso Horizon Europe – Horizon Europe è stato sicuramente il dossier R&I più pesante dell’ultima fase della legislatura. L’accordo istituzionale raggiunto lo scorso marzo permette di tracciare un primo bilancio dell’esito del negoziato legislativo. «Come sistema italiano della R&I, direi che possiamo ritenerci soddisfatti – sostiene Patrizia Toia, che ha seguito da vicino il percorso legislativo del dossier come Vice Presidente della Commissione ITRE. Innanzitutto per il recupero di aspetti importanti dello Strumento PMI e l’assegnazione alle Piccole e Medie Imprese di almeno il 70% del bilancio dell’EIC. In mancanza di uno strumento a disposizione a livello nazionale, era fondamentale assicurare la reintroduzione di una linea di finanziamento dedicata alle PMI innovative». «Ancora più importante – rimarca Borrelli, che ha svolto il ruolo di relatore ombra per la relazione di valutazione di Horizon 2020 – è stata l’affermazione di un giusto equilibrio tra innovazione incrementale e innovazione dirompente, fondamentale per il nostro sistema imprenditoriale». Come sappiamo, l’esame del dossier Horizon Europe non è ancora terminato: dall’accordo sono rimasti infatti esclusi gli aspetti orizzontali, soggetti all’approvazione della programmazione UE 2021-27: bilancio, norme sull’associazione dei paesi terzi, sinergie con gli altri programmi. Elementi fondamentali del nuovo programma, che spetterà al nuovo Parlamento contribuire a definire, insieme al Consiglio e alla nuova Commissione.

Le nuove priorità – Non solo: il Parlamento che s’insedierà a luglio potrà dire la sua indirizzi della prossima Commissione. Quali dovranno essere le priorità della nuova Commissione in materia di ricerca e innovazione? Attrezzarsi per fronteggiare la sfida ambientale, innanzitutto: «considero molto positivamente l’assegnazione di una parte consistente dei fondi europei per la ricerca agli obiettivi climatici – afferma Toia, richiamando la decisione di dedicare a obiettivi climatici il 35% del bilancio di Horizon Europe – Si tratta della più grande sfida che abbiamo di fronte come europei e come cittadini del mondo. La ricerca e l’innovazione possono dare un contributo fondamentale». «Negli ultimi anni l’Unione europea ha fatto passi da gigante nel promuovere l’innovazione attraverso tecnologie come la robotica, la fotonica e le biotecnologie – aggiunge Patriciello – Resta tuttavia un problema di fondo, e cioè che le nostre imprese spendono meno per l’innovazione rispetto ai loro concorrenti. Penso che l’obiettivo principale sia quello di rafforzare le nostre capacità d’innovazione per poter migliorare lo stile di vita europeo. Dobbiamo dunque creare un ambiente più “fertile” da questo punto di vista, a cominciare dalle PMI, le start-up innovative. Puntare ad un’innovazione basata sulla tecnologia di precisione, la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, l’economia circolare».

«Fare sistema» – Tutelare gli interessi italiani in Europa facendo squadra, «fare sistema a Bruxelles»: sono frasi che sentiamo ripetere spesso. La comunità italiana della ricerca e dell’innovazione si è data da fare in questi anni: il GIURI – la piattaforma informale degli stakeholder italiani R&I a Bruxelles, che APRE coordina dal 2016 – ha ormai sette anni e ha intensificato negli ultimi mesi le proprie attività di rappresentanza e difesa degli interessi nazionali. «Iniziative come quella del GIURI – dice Borrelli – sono senz’altro preziose per sostenere efficacemente il lavoro dei deputati italiani nel rappresentare una visione europea e una prospettiva nazionale. In futuro, occorrerà un maggior raccordo con i rappresentanti del nostro governo». A livello istituzionale, quali sono invece le azioni da intraprendere per consolidare una strategia italiana unitaria a livello europeo nel settore della R&I? «Credo prima di tutto che sia essenziale una presenza costante e significativamente attiva ai tavoli europei, se vogliamo davvero migliorare la qualità della nostra “filiera istituzionale” – ribadisce Patriciello – Resto fermamente convinto che il modo migliore di tutelare gli interessi italiani sia quello di avere una visione a 360 gradi di ciò che accade a Bruxelles. Non bisogna però appiattirsi sull’inerzia di ciò che è stato. Possiamo e dobbiamo innovare, a cominciare dall’istituzione di una governance per il coordinamento della partecipazione italiana al processo di programmazione europea».

Il capitale umano – Il punto di forza del sistema italiano della ricerca e dell’innovazione resta la capacità, la professionalità e l’eccellenza del suo capitale umano. «Nel contesto globale – afferma D’Amato – i ricercatori e gli innovatori hanno le chiavi del futuro benessere delle persone. Ma la conoscenza e il know how, per quanto importanti, da soli non bastano: devono poter operare in un contesto normativo europeo che permetta loro di esprimere tutto il potenziale». «I nostri ricercatori – aggiunge Patriciello – conoscono bene l’importanza di guardare lontano: in un mondo che cambia in maniera così repentina, il consiglio che mi sento di dare loro è quello di porsi obiettivi programmatici di lungo periodo, di non smettere di osare, di sperimentare, di provare a cambiare l’inerzia della quotidianità». «Oggi più che mai – conferma Toia – per le donne e gli uomini di scienza andare in un altro Paese europeo a fare ricerca non è né un tradimento della Patria né la resa a una condizione di emigrazione. Ai ricercatori e agli innovatori italiani direi di continuare a perseguire le proprie ricerche sfruttando al massimo le opportunità di fondi e di mobilità all’interno dell’Unione europea, mantenendo al tempo stesso i legami con l’università e il sistema Paese italiano».